Fig.1

Si tratta di uno strumento molto particolare, dovuto all’ingegno del Prof. Stefano Marianini (Zeme,1790, Modena,1866), professore di Fisica Particolare ed Esperimentale della R. Università di Modena, di cui si riporta anche un ritratto con autografo (Fig.1) facente parte delle pagine iniziali delle sue memorie [1]. L’oggetto, probabilmente costruito presso il Gabinetto di Fisica (non si sono ancora trovate notizie certe in merito a questo), è indicato dallo stesso Prof. Marianini con il nome di “galvanometro moltiplicatore a filo incrocicchiato”, descritto dall’autore come galvanometro “squisito” (sensibile) per la misura della intensità di corrente continua in un circuito elettrico. Il funzionamento si basa sull’azione esercitata da un filo, avvolto in spire, percorso da corrente su un ago calamitato: la corrente nel filo produce un campo magnetico che devia l’ago dalla sua posizione di equilibrio. La misura è effettuata nel campo magnetico terrestre. Le unità di misura sono arbitrarie e corrispondenti all’ angolo di deviazione dell’ago letto su una scala graduata a zero centrale che si estende da +90° a -90°. La caratteristica principale dello strumento consiste nel filo conduttore avvolto non in spire regolari come nei galvanometri “semplici” ma in modo da incrociarsi sopra e sotto l’ago. Fu utilizzato nello studio degli elettromotori, nell’insegnamento dell’elettrodinamica, nello studio ed applicazione dei fenomeni elettrofisiologici.
Questo è un galvanometro a quattro fili incrocicchiati. In una nota attribuibile al figlio, Pietro Domenico Marianini anche lui professore presso l’Ateneo di Modena e Direttore del Gabinetto di Fisica dello stesso Ateneo [2], si legge che in questo strumento i quattro fili potevano essere usati tanto separatamente quanto insieme e che il galvanometro fu fatto costruire dall’autore prima del 1844. Sempre la stessa nota fa sapere che faceva parte degli strumenti inviati a Parigi all’Esposizione di Elettricità del 1881 (Fig.2).

Fig.2

Lo strumento è costituito da una scatola in legno, cilindrica, molto piatta, con coperchio in vetro e sostenuta da tre piedini in ottone a vite calante molto ben rifiniti. Sul vetro sono incollate due vecchie etichette bordate di blu con scritte a mano in corsivo con inchiostro nero: una riporta la dicitura “Gab. fisico R. Università di Modena” e l’altra “N.2”. Alla scatola è unito un prolungamento in legno che porta gli otto morsetti in ottone per il collegamento al circuito elettrico in cui si vuole misurare l’intensità di corrente (Fig.3). All’interno sono inseriti un telaio in ottone con incisa la scala graduata e molte spire di filo conduttore avvolto da un rivestimento di seta colorata con funzione di isolante. Al centro della scatola è posto un perno che sostiene un ago magnetico recante tracce di un forte riscaldamento. Le spire di filo conduttore si incrociano giusto sopra e sotto l’ago. Lo strumento è danneggiato probabilmente da un incidente durante l’uso, ma il suo principio di funzionamento è ancora ben evidente.

Fig.3

Breve storia

Nel 1799 il fisico e chimico italiano, Alessandro Volta (Como,1745, Como,1827) inventa il primo generatore elettrico: la pila. Per la prima volta si ha la disponibilità di uno strumento sufficientemente efficace per effettuare ricerche sperimentali. La prima questione che si pone riguarda “che cosa” è originato nella pila e quale nuova grandezza usare per descriverla. Poiché si parla di fluido elettrico di cui studiare il passaggio con continuità attraverso conduttori, si rende necessario trovare “un qualcosa” da misurare connesso a tale passaggio ed il relativo strumento di misura. A quest’ultima esigenza viene incontro in modo indiretto l’esperienza di Oersted. Nel 1820 il fisico e chimico danese Hans Christian Oersted (Rudkøbing, 1777, Copenaghen, 1851) fa una scoperta molto innovativa. Egli scopre per primo (in realtà, il risultato era già stato osservato dal giurista, filosofo, economista italiano Gian Domenico Romagnosi nel 1802, ma non fu creduto dalla comunità scientifica di allora) che un filo conduttore, orizzontale ed orientato nella direzione N-S, percorso da corrente fa muovere l’ago di una bussola sia quando il conduttore è sopra l’ago sia quando è sotto [3]. In entrambi i casi l’ago tende a disporsi perpendicolarmente al filo ma con spostamenti in senso contrario. In altre parole, l’azione del filo sull’ago è “circolare”, come scrive lo stesso Oersted; l’azione sull’ago è distribuita nello spazio che circonda il conduttore in modo simmetrico. È l’inizio dell’idea di campo magnetico e di linee di campo. L’esperimento di Oersted mostra, in linguaggio moderno, che una corrente elettrica provoca effetti magnetici, dimostrando in modo inequivocabile il legame tra elettricità e magnetismo.

Fig.4

In Fig.4 è riprodotto lo strumento per replicare l’esperimento di Oersted facente parte della collezione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, purtroppo mancante dell’ago magnetico.
In seguito, il lavoro del fisico e chimico inglese Michael Faraday (Southwark, 1791, Hampton Court,1867) mostrerà che il magnetismo produce elettricità. Da questo momento il magnetismo diventa un capitolo del più generale elettromagnetismo. Poco tempo dopo l’esperienza di Oersted, nel 1820, un altro fisico e chimico, questa volta tedesco, Johann Salomo Christoph Schweigger (Erlangen,1779 , Halle (Saale), 1857), sviluppa un dispositivo costituito da un filo conduttore avvolto più volte attorno un telaio in modo che il filo percorso da corrente passi più volte sopra e sotto l’ago magnetico, moltiplicandone così l’effetto. Questo apparecchio è chiamato “galvanometro moltiplicatore”, utile per rivelare correnti elettriche molto deboli.

Moltiplicatore di Schweigger
Fig. 5

La Fig.5 mostra il galvanometro moltiplicatore di Schweigger, facente parte della collezione dell’Università di Modena e Reggio Emilia, purtroppo mancante dell’ago magnetico.

Nello stesso periodo, altri scienziati famosi per le loro scoperte si dedicano allo studio del magnetismo e della correlazione tra fenomeni elettrici e fenomeni magnetici, come il fisico francese André-Marie Ampère (Lione, 1775, Marsiglia, 1836), i fisici sperimentali francesi Jean Baptiste Biot (Parigi, 1774, Parigi, 1862) e Felix Savart (Charleville-Mézières, 1791, Parigi, 1841), il fisico matematico francese Pierre-Simon Laplace (Beaumont-en-Auge, 1749, Parigi, 1827). La caratteristica delle ricerche di parte degli studiosi, in particolare francesi, di quegli anni è data dalla tendenza a ricondurre lo studio del magnetismo ad un modello newtoniano in cui gli effetti magnetici sono simili a forze centrali inversamente proporzionali al quadrato della distanza, in modo formalmente analogo al caso delle cariche elettriche e della forza gravitazionale. I loro esperimenti portano, tra l’altro,  a quella  che oggi è chiamata “prima legge di Laplace” o anche “legge di Biot, Savart”  che determina il contributo di un elemento di corrente al campo magnetico (più precisamente al vettore di induzione magnetica) in un punto dello spazio.

Nell’agosto 1826, Stefano Marianini, a quel tempo professore di Fisica e di Matematica applicata nel R. Liceo convitto di Venezia, in una nota letta all’Ateneo Veneto descrive un nuovo galvanometro moltiplicatore da lui ideato e successivamente pubblica una memoria circa alcune modifiche apportate. Questi contributi sono stati raccolti, anni dopo la loro prima pubblicazione da parte del Prof. Marianini, nella edizione postuma del 1874 delle Memorie di Fisica Sperimentale [4], parte IIIGalvanometro e Reelettrometro” con i seguenti titoli e sottotitoli, rispettivamente:

Descrizione di un nuovo galvanometro moltiplicatore – Letta nell’Ateneo di Venezia nell’agosto 1826 – Inserita nel T.I. delle Esercitazioni scientifiche e letterarie dell’Ateneo Veneto – Bibliotheque universelle de Geneve, 1827,

Memoria sopra alcuni miglioramenti al galvanometro a filo incrocicchiato, e sopra i suoi usi – Memorie di fisica sperimentale del professore Stefano Marianini scritte dopo il 1836, Anno I,1837. Modena, Tipografla Camerale, 1838.

Nel seguito sono riportate le parole del Prof. Marianini tratte dalla sua descrizione del nuovo galvanometro [4]:

Tutti i fisici che ripeterono la bella esperienza dell’Oersted relativa all’azione dell’elettricità sulle calamite, conobbero che l’ago magnetico potevasi impiegare come strumento misuratore dell’energia delle correnti elettriche: ed il valentissimo Schweiger riflettendo che il filo metallico congiungente gli estremi di un elettromotore esercitava in qualunque suo tratto un’azione eguale sulla calamita, ebbe prima d’ogni altro la felice idea di ripiegare molte volte il filo congiuntivo al di sopra e al di sotto della calamita stessa per accrescerne l’effetto. E siccome un ago magnetico fornito d’un semplice filo metallico che passa al di sopra o al di sotto di esso fu detto voltimetro o galvanometro, così lo stromento schweigeriano venne appellato voltimetro o galvanometro moltiplicatore.

Desideroso di dar maggiore estensione ad alcune esperienze, intorno alle quali ebbi più volte l’onore di trattenere questa dotta adunanza, mi procacciai l’anno scorso da Milano uno di siffatti moltiplicatori. Accintomi peraltro alle sperienze, non tardai a conoscere che di poco egli superava in isquisitezza i galvanometri semplici da me usati: e riflettendo alla costruzione di quello stromento mi è sembrato di rilevare: 1.° Che il filo metallico impiegato in esso non fosse disposto in guisa da produrre tutto l’effetto, che per esso sarebbesi potuto; 2.° Che in generale tale congegno non poteva riuscire il più adattato ove si trattasse di osservazioni richiedenti qualche esattezza.

Il Prof. Marianini è a conoscenza della legge di Biot,Savart, che richiama con le parole [4]:

l’azione di ciascuna molecola di filo congiuntivo su ciascuna molecola australe o boreale dell’ago è tanto minore, quanto più cresce il quadrato della distanza e quanto è maggiore il seno dell’angolo formato dalla distanza stessa colla direzione del filo

 Questa legge lo induce a ritenere che la disposizione a modo di orditura del filo percorso da corrente (congiuntivo) dei galvanometri semplici non sia la più opportuna ad ottenere la maggiore deviazione dell’ago con una data quantità di filo. Egli nota che, quando l’ago magnetico ruota, i vari tratti di conduttore percorsi da corrente esercitano solo “un’azione obliqua” sull’ago. Come conseguenza, propone il suo galvanometro moltiplicatore in cui il filo conduttore, invece di essere avvolto al telaio in modo che ogni tratto di filo risulti parallelo a se stesso, è avvolto così che tutte le porzioni di filo che passano sopra o sotto l’ago si “incrocicchino” fra loro nel mezzo. Con tale avvolgimento del conduttore, si avrà sempre una porzione di filo sopra e sotto l’ago sullo stesso piano verticale e parallela all’ago stesso man mano che questo si muove, in altre parole si avrà sempre un tratto di filo che esercita un’azione sull’ago “con tutto quel grado di forza di cui è suscettibile”, fintanto che esso non si trovi fuori dall’orditura. Per verificare la superiorità del galvanometro a filo incrocicchiato rispetto agli altri galvanometri con fili paralleli, il prof. Marianini conduce parecchi esperimenti descritti in [4], ricavandone la convinzione dell’utilità del filo incrocicchiato che risulterebbe in una maggiore “squisitezza” del suo strumento a parità di avvolgimenti del conduttore attorno all’ago ed a parità di caratteristiche dell’ago.

Lo strumento fu di uso frequente per il Prof. Marianini in esperienze di elettrodinamica a scopo didattico, nello studio degli elettromotori ed ogni qual volta fosse necessario conoscere la “forza” degli apparati utilizzati come nelle esperienze o applicazioni di elettrofisiologia animale e di elettroterapia umana. Infatti, in parecchie occasioni, furono “elettrizzati” ammalati con patologie varie ed anche in tali circostanze è sembrato utile corredare l’elettromotore con il galvanometro. Fin dai tempi del soggiorno a Venezia ma anche successivamente a Modena, sulla base di indicazione medica, parecchie persone che accusavano perlopiù gravi problemi di movimento furono condotte nel Gabinetto Fisico dell’Università per essere sottoposte dal Prof. Marianini a sedute di elettrizzazione con risultati spesso favorevoli. Il Prof. Marianini stesso, con estrema cura e precisione, da conto dei casi che si risolsero completamente, di quelli in cui la cura ebbe solo parziali successi   e dei fallimenti [5, parte VIII  ”Elettro-Fisiologia ed Elettro-Terapia”] oltre che del procedimento e del numero di scosse somministrato. Come esempio fra i tanti, furono sottoposti alla terapia alcuni modenesi:

– un cantore di professione di anni 30 che nel gennaio 1838 cadde emiplegico al lato destro in conseguenza, pare, “di troppo frequente uso di liquori spiritosi”;

– un sacerdote di anni 65, affetto da sei mesi di torpore al lato sinistro, elettrizzato dodici volte nel mese di luglio 1837 con “dugento” scosse;

– una giovane domestica di anni 25, sordastra, che soffriva da un anno di fitte e forti tinniti alle orecchie per avere preso freddo alla testa viaggiando in carrozza scoperta, a cui, nel maggio 1842, furono somministrate cinquecento piccole scosse ogni giorno per diciannove volte, duecento all’orecchio destro e 300 al sinistro.

E tanti altri….

La prima legge di Laplace – Legge di Biot Savart

Nel linguaggio moderno, il contributo di un tratto infinitesimo dl di un filo percorso da una corrente I al campo di induzione magnetica dB in un punto P alla distanza r dall’elemento dl è dato da:

dove u è il versore distanza e è la permeabilità magnetica nel vuoto. Il valore complessivo dell’induzione magnetica B nel punto P è dato dalla somma di tutti i contributi degli elementi dl che compongono il filo, ossia, più precisamente, dall’integrale della precedente relazione.

 Il Prof. Stefano Giovanni Marianini

Nasce a Zeme, vicino a Mortara, (Pavia) nel 1790. Allievo di Volta, è considerato uno dei maggiori studiosi italiani di elettricità e magnetismo della prima metà dell’800. Si laurea in Giurisprudenza nel 1807 presso l’Università di Pavia poi, maggiormente interessato alle Scienze, si avvia prima agli studi di Medicina, protratti per un breve periodo, e successivamente alla Fisica e alla Matematica [6]. Frequenta le lezioni e le dimostrazioni sperimentali di Pietro Configliachi e di Alessandro Volta presso l’Ateneo di Pavia dove, nel 1817, è nominato da Volta professore aggiunto stipendiato alle cattedre di Matematica Elementare e Fisica Generale e Sperimentale. L’anno successivo vince il concorso per la cattedra di Fisica e Matematica Applicata sempre a Pavia. Nel 1821 diventa professore per lo stesso insegnamento presso R. Liceo convitto di S. Caterina a Venezia [7], dove rimane fino al 1835 quando è chiamato a ricoprire la cattedra di Fisica Particolare e Sperimentale nella R. Università di Modena. Insegna la fisica sperimentale non solo ai futuri fisici-matematici, agli studenti di medicina ma anche agli studenti dell’istituto dei Cadetti Matematici Pionieri ora Accademia Militare di Modena [8] e a LL.AA.RR. gli arciduchi figli del regnante duca di Modena Francesco IV d’Austria-Este. È membro di numerose Accademie e Società Scientifiche, fra cui, ad esempio: uno dei XL della Società Italiana di Scienze di cui è presidente dal 1844 al 1866, socio dell’Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena che conserva i suoi appunti di lezione, socio corrispondente della Accademia R. delle Scienze dell’Istituto di Francia, membro nazionale delle RR. Accademie di Torino e di Padova. Nel 1849 il duca Francesco V lo nomina Presidente della speciale Commissione sui pesi e le misure, costituita, con l’incarico di introdurre il sistema metrico decimale nel ducato estense. L’incarico è tenuto dal Prof. Marianini per nove anni e risulta talmente oneroso da costringerlo a tralasciare quasi completamente gli studi di Fisica Sperimentale. Nel 1859, con la caduta del governo austriaco, è eletto consigliere comunale a Modena. Il Prof. Marianini muore a Modena il 9 giugno 1866.
La sua attività scientifica è ampiamente documentata nel “Trattato del Magnetismo e della Elettricità” dell’abate Francesco Zantedeschi del 1846 che riporta anche un disegno del galvanometro a filo incrocicchiato su litografia [9] e nella collezione delle Memorie di Fisica Sperimentale dello stesso Marianini, ristampate postume su proposta del Rettore della R. Università di Modena, prof. Luigi Vaccà, scritta a nome del Consiglio Accademico il 21 maggio 1870 al Consiglio Provinciale di Modena [1,4,5]. Per organizzare il lavoro fu istituita una commissione formata dai Consiglieri Provinciali: prof. Cesare Razzaboni, prof. Leonardo Salimbeni, prof. Guglielmo Raisini, e questa chiamava a partecipare il figlio prof. Pietro Domenico Marianini.
Per lui sono stati scritti due elogi postumi, uno del Dott. A. Pazienti, letto presso il R. Istituto veneto il giorno 23 febbraio 1867 [7] ed uno del Prof. C. Razzaboni, letto presso la R. Università di Modena il giorno 16 novembre 1869 in occasione dell’apertura dell’a.a. 1869-1870 [1]. Quest’ultimo elenca anche tutte le onorificenze e le Società o Accademie di cui, Stefano Marianini, era socio e corrispondente; entrambi costituiscono un utile riferimento per le decine di pubblicazioni e memorie scritte da Marianini sulle proprie svariate ricerche e sui risultati ottenuti.
Gli studi sugli elettromotori costituiscono una parte cospicua del lavoro di ricerca del Prof. Marianini. Come allievo di Volta, fu un sostenitore della teoria del contatto tra conduttori eterogenei per spiegare il funzionamento della pila [10]. Citando quanto riportato dal Prof. Razzaboni, furono fautori della teoria chimica Fabbroni, Del Negro, Nobili, Fusinieri, Matteucci, Parrot, Wollaston, Faraday, Becquerel, De la Rive; difensori costanti della teoria voltiana, Configliacchi, Marianini, Baccelli, Zamboni, Grimelli, Pianciani, Biot, Davy, Berzelius, Pfaf, Ohm, Fechner, Poggendorf; “campioni nella lotta” De la Rive e Marianini. Questi mise a confronto le due teorie in sei memorie, raccolte nella parte II “Teoria degli elettromotori”, del primo volume delle sue memorie [1].
Fece studi variando la qualità ed il numero degli elementi di una pila e analizzando la relazione tra l’intensità delle correnti voltaiche e caratteristiche quali il numero e la superficie degli elementi, la conducibilità del liquido e la tensione degli “apparati elettromotori” [6]. Nel 1825, studiando la dipendenza della intensità di corrente dal numero di coppie voltaiche nella pila e la conduzione elettrica, arrivò in modo sperimentale a risultati con significative analogie quantitative alla legge di Ohm prima che da questi fosse resa nota. Fece esperimenti sulla diramazione di una corrente in tratti di un circuito, con risultati apprezzati a livello internazionale. Si dedicò anche allo studio delle pile ricaricabili chiamate “pile secondarie” inventate da J.W.Ritter (parte I “Studi sugli elettromotori”, del primo volume delle sue memorie [1]). Studiò la conducibilità nei liquidi al variare del liquido e della temperatura, arrivando a dimostrare che essa poteva essere variata con sali, acidi, alcali e composti organici vari disciolti. A più riprese, utilizzò le conoscenze ottenute per applicazioni pratiche di elettro-metallurgia ed elettro- grafia, per esempio, ricoprendo con rame oggetti di altro metallo, riproducendo l’impronta di una lamina metallica su carta, su tessuti vegetali o membra di animali. Propose, infine, modifiche per rendere più agevoli e di più certo risultato i procedimenti della metallocromia dovuta a Nobili, con lo scopo di ottenere colorazioni diverse su metallo a causa della formazione elettrolitica di strati superficiali sottili. Questo lavoro è raccolto nella parte VII “Elettro-plastica, Elettro-grafia ed Elettro-metallocromia”, del terzo volume delle sue memorie [5].
Marianini riprese anche gli esperimenti degli effetti dell’elettricità sulla rana di Galvani e Volta, concentrandosi sui fenomeni relativi alla contrazione a seguito di corrente applicata ai muscoli o ai nervi. Applicò l’elettrofisiologia anche nella cura di ammalati prevalentemente paralitici, tenendo accuratamente il conto dei casi che si risolsero completamente, di quelli in cui la cura ebbe solo parziali successi e dei fallimenti oltre che del procedimento e del numero di scosse somministrato [5]. Il Prof. Marianini ideò due strumenti per la misura di correnti continue che lui chiamò: galvanometro moltiplicatore a filo incrocicchiato, presentato nel 1826 nell’Ateneo di Venezia (vedi i già citati contributi nella parte III “Galvanometro e Reelettrometro” [4]) e re-elettrometro presentato nel 1838 ma realizzato nel 1833, presente nel secondo volume delle memorie, parte III “Galvanometro e Reelettrometro” con il titolo e sottotitolo: Memoria sopra uno stromento misuratore delle correnti elettriche istantanee e non istantanee e sopra alcune analogie fra le dette correnti, usi, Memorie di fisica sperimentale del professore Stefano Marianini scritte dopo il 1836, Anno I,1837- Modena, Tipografla Camerale, 1838 [4]. Il re-elettrometro è un galvanometro costituito da una barretta di ferro sospesa sopra un ago calamitato con avvolto a spirale un filo conduttore percorso da corrente. La magnetizzazione indotta nella barretta di ferro causa una deviazione dell’ago che viene misurata. Il re-elettrometro fu utilizzato per la misura di correnti “istantanee” ossia molto brevi come le scariche di una bottiglia di Leyda o correnti prodotte dall’induzione elettrica scoperta da Faraday nel 1831 (parte IV “Correnti indotte e derivate”, del secondo volume delle sue memorie [4]). Marianini, forse per primo, trovò che tali scariche potevano indurre corrente in un circuito, che poteva indurre corrente in un secondo circuito, ecc. Egli descrisse in parecchie memorie i suoi studi sugli effetti magnetici delle correnti istantanee (parte V “Sopra l’azione magnetizzante delle correnti elettriche istantanee”, del secondo volume delle sue memorie [4]). Molto studio fu anche dedicato alla magnetizzazione del ferro (parte VI “Magnetismo”, del secondo volume delle sue memorie [4]).

Bibliografia

[1] S. Marianini, Memorie di Fisica Sperimentale, 1, (1874), Nicola Zanichelli, Bologna, University of Chicago Digital Preservation Collection, http://pi.lib.uchicago.edu/1001/cat/bib/10740503

[2] E. Corradini, From the Physics Cabinet to the Physics Museum of the University of Modena and Reggio Emilia, Atti del XXXVI Convegno annuale SISFA – Napoli 2016

[3] M. La Forgia, L’esperienza di Oersted e la sua interpretazione nelle teorie di Faraday e di Ampere, Giornale di Fisica, 21 n.2, Aprile-Giugno 1980

[4] S. Marianini, Memorie di Fisica Sperimentale, 2, (1874), Nicola Zanichelli, Bologna, University of Chicago Digital Preservation Collection, http://pi.lib.uchicago.edu/1001/cat/bib/10740503

[5] S. Marianini, Memorie di Fisica Sperimentale, 3, (1874), Nicola Zanichelli, Bologna, University of Chicago Digital Preservation Collection, http://pi.lib.uchicago.edu/1001/cat/bib/10740503

[6] Enciclopedia Treccani, Stefano Marianini, Dizionario Biografico degli Italiani, 70, (2008)

[7] A. Pazienti, Intorno agli studi del Professor Cav. Stefano Marianini commentario letto al Regio istituto veneto nell’adunanza 23 febbraio 1867 dal dott. Antonio Pazienti, estr. da Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, XII, serie 3, (1867), Tip. Antonelli. http://books.google.it. Provenienza dell’originale: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, digitalizzato: 30 ott 2013

[8] Cenni storici sull’istituto dei Cadetti Matematici Pionieri di Modena, (1864), Nicola Zanichelli e Soci, Modena. http://books.google.it. Provenienza dell’originale: Biblioteca di storia moderna e contemporanea, digitalizzato:1 giu 2016

[9] F. Zantedeschi, Trattato del Magnetismo e dell’elettricità, 2, (1846), Biblioteca scelta di opere italiane, Tipografia di Gio. Silvestri, Milano, http://books.google.it. Provenienza dell’originale: Università di Berna, digitalizzato:12 nov 2020

[10] S. Marianini, Sopra la teoria della pila, Memoria 1a letta all’Ateneo Veneto il 22 Maggio 1828. Memorie della Società Italiana dei XL, residente in Modena. Tomo XX, parte fisica. https://media.accademiaxl.it/memorie/S1-VXX-P2-1829-1833/Marianini347-359.pdf

Autore: Prof.ssa Sandra Morelli, Dipartimento di Scienze Fisiche, Informatiche e Matematiche

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