
Nella prima parte del XIX, sono sempre più numerosi gli studi sulle interazioni reciproche dei campi elettrici e magnetici e, una volta stabilita l’esistenza di una stretta relazione tra loro, sono molti i tentativi di applicare le nuove idee. Si costruiscono galvanometri, telegrafi, motori. In questo caso, si tratta di un bellissimo prototipo di motore elettrico a corrente continua, ideato dal Prof. Giuseppe Domenico Botto e costruito dall’abile macchinista del Gabinetto di Fisica dell’Università di Torino Enrico Federico Jest. Lo strumento, risalente agli anni’30 del XIX secolo, rappresenta uno dei primi esempi al mondo di motore elettrico. Questo esemplare è originale e firmato dal costruttore H.F. Jest (Enrico Federico Jest) e porta la data dell’anno 1834. Il valore attribuito nel registro inventariale dei beni “mobili esistenti al 31 dicembre 1870 nel Gabinetto di Fisica della R. Università di Modena” è di 200 lire. Il motore è saldamente ancorato ad una tavola di noce ed è costituito da tre elettrocalamite di cui due con polarità fissa bloccate alla base ed una mobile fra loro con polarità variabile. I poli omonimi delle due elettrocalamite fisse sono uno verso l’altro. L’elettrocalamita mobile è mantenuta in movimento oscillante dall’alternante inversione del verso della corrente che la percorre, ottenuta tramite un commutatore a bagno di mercurio (Fig. 1).

Quando il motore è in funzione, il verso di percorrenza della corrente è tale che una elettrocalamita fissa la attrae e l’altra la respinge, poi il commutatore cambia la polarità ed il moto si inverte. Il movimento della elettrocalamita mobile è trasmesso ad una grande ruota di ottone attraverso un sistema di biella-manovella.
Il prof. Botto presenta la sua invenzione in una Comunicazione dal titolo “Notizia sopra l’applicazione dell’elettromagnetismo alla meccanica” a Torino nell’agosto 1834 [1]. Successivamente, il prof. Botto pubblica studi sulla efficienza dei motori elettrici a corrente continua ma bisognerà aspettare parecchi decenni per potere disporre di un efficiente motore a corrente alternata.
Il Prof. Giuseppe Domenico Botto
Nato a Moneglia (Ge) nel 1791, morto a Torino nel 1865 [2]. Studia prima a Genova poi alla Ecole Polytechnique. È architetto e militare con il grado di capitano del Genio, ma, avendo, così sembra, partecipato in qualche modo ai moti di Alessandria del 1821 contro gli austriaci, è costretto ad abbandonare l’esercito “demissionato senza l’uso dell’uniforme”. È nominato dal Re professore di fisica a Torino nel 1828. Tratta e sviluppa argomenti di ricerca importanti per i tempi, quali fenomeni fisici e chimici legati alle correnti elettriche, macchine e motori elettrici. Si occupa anche di bilanci energetici dei circuiti elettromagnetici per il miglioramento dell’efficienza e il potenziamento delle macchine elettriche. In particolare, sviluppa un prototipo di motore elettrico descritto dettagliatamente in una nota intitolata “Machine Locomotive mise en mouvement par l’électro-magnétisme” intorno all’anno 1836 [2]. Il prof. Botto si occupa anche di telegrafia, e propone un nuovo sistema di trasmissione e codifica per il telegrafo elettrico. Collabora a lungo con Amedeo Avogadro sia in una ricerca sulla conduzione elettrica nei liquidi che su questioni non strettamente di scienza di base ma relative a importanti servizi per la città di Torino: l’illuminazione pubblica ed il telegrafo.
La famiglia Jest
È una famiglia di abili costruttori di strumenti scientifici, proveniente dall’attuale Svizzera, ma attiva per tutto il XIX secolo in Piemonte [3]. I suoi componenti sono, inoltre, tra i primi fornitori di materiale per dagherrotipia a Torino, unitamente al collaboratore Antonio Rasetti. Il capostipite della famiglia di costruttori è Enrico Federico, macchinista all’Università di Torino dal 1814 al 1849, al suo fianco il figlio Carlo, macchinista presso la stessa Università fino al 1900. Per un tempo limitato, un terzo collaboratore è Costante Jest, probabilmente cugino di Carlo. I Jest, padre e figlio, oltre alla collaborazione con l’Università di Torino come macchinisti rivestono anche il ruolo di costruttori in proprio di strumentazione scientifica per scuole, seminari e privati, commercializzata con chiare descrizioni in inserzioni pubblicitarie e in un catalogo di Enrico Federico del 1836. Producono strumenti per la Fisica, la Meteorologia, la Chimica, la Geodesia e conducono tra i primi esperimenti di galvanoplastica. Loro è anche un brevetto per miglioramenti alle carrozze delle Ferrovie di Stato e, soprattutto, l’introduzione in Piemonte della fotografia. Nel 1839, Enrico Federico è il primo fotografo italiano a scattare una foto con il dagherrotipo autocostruito, che ritrae la Chiesa della Gran Madre di Torino. Oltre alla coppia di telegrafi elettromagnetici di Cooke e Wheatstone dovuti a Carlo Jest, fa parte della collezione degli strumenti storici dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia anche un esemplare originale del motore elettromagnetico del Prof. Giuseppe Domenico Botto, costruito da Enrico Federico Jest.
Bibliografia
[1] Il motore di Botto, Università degli Studi di Torino, https://www.astut.unito.it/il-motore-di-botto/
[2] Amelia Carolina Sparavigna, Giuseppe Domenico Botto e la sua collaborazione con Amedeo Avogadro. 2016, https://hal.archives-ouvertes.fr/hal-01389149
[3] I Jest Artigiani e Artisti della Scienza nella Torino dell’Ottocento. Video realizzato su richiesta del Prof. Roberto Mantovani da Federico Agnello, a.a. 2016/17. Università degli Studi di Urbino Carlo Bo; https://www.youtube.com/watch?v=csT8MtSFX4Y&ab_channel=RobertoMantovani.
Autore: Prof.ssa Sandra Morelli (Dipartimento di Scienze Fisiche, Informatiche e Matematiche)
